Giulio Gasperini
ROMA – In afose serate d’estate come quelle che stiamo vivendo non ci potrebbe essere lettura più adatta. Lo stile di Piero Chiara è esplosivo, divertito e divertente, quasi una risata tramutata in sillabe che si rincorrono e si legano. I “Tre racconti”, editi da Mondadori nel 1974, sono un trittico sorprendente di “disponibilità narrativa”: si spazi, infatti, da un racconto di astrusa indagine storica, a uno di analisi caratteriale a uno di pittoresco dipinto di costume e società. E nessuno dei tre fallisce, ma ognuno di loro ha il tocco decisivo e fondante dell’esperimento riuscito; e difficilmente migliorabile.
Sono tre racconti affilati di sottile ironia e additanti una grottesca valutazione del reale, perché non rinunciano – ma, anzi, proprio lì insistono – scherzare sugli elementi più assurdi e contraddittori delle vicende, quelli più ironici, quelli che sollevano la punta delle labbra ma non fanno esplodere in risate isteriche. Il sentimento, insomma, che anche per Pirandello era il più difficile da suscitare, ma parimenti il più utile. Sono tre racconti, tre favole limpide e fresche, come acqua di nevaio. Sono tre esperienze di narratività che meravigliano e stupiscono, che incitano a girare pagina e continuare a leggere, e a scoprire le parole.
Nel primo racconto, “Sotto la sua mano”, si parte da un’indagine epigrafica, che nasce dalla consultazione di polverosi volumi in altrettanto polverose biblioteche: cosa ha fatto di così straordinario il Procurator Augusti Tito Cornasidio? Nulla, tranne uno splendido ritrovamento: una parte del mitico e leggendario Colosso di Rodi, la statua considerata una delle Sette Meraviglie del mondo antico. Ma la parte rinvenuta è particolare, imbarazzante: è il gigantesco membro della statua, che Tito Cornasidio considererà sempre come la fonte della sua fortuna. Ma lui muore, e la statua scompare, dimenticata dall’umanità, fino al giorno in cui non sarà di nuovo scoperta e, nell’esigenza di avere ombra per costruire una imponente statua di San Carlo Borromeo, sarà fusa e utilizzata per completare le parti mancanti del santo. Ed è ovviamente divertente pensare come un membro possa diventare costituente della santità.
La storia di una banca – che tanto ha da insegnare anche nei nostri appena iniziati anni Dieci – è la trama del secondo racconto: la storia de “La Banca di Monate”, infatti, diventa paradigmatica della società italiano degli anni appena precedenti l’affermarsi del Fascismo nella pacifica cornice del Lago d’Orta, luogo periferico ma polmone pulsante di iniziativa privata e industriale. L’ultimo racconto, invece, è un’analisi di un carattere, quello de “Il giocatore Coduri”, che muove i suoi passi nel turbine della storia e finisce per esser sempre ammantato di mistero, fino al giorno in cui muore e, anche senza di lui, non cambia nulla per nessuno.
“Tre racconti”: l’acqua fresca che si legge.
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